Nell’attesa, giri ancora la solita giostra

Fino ai primi anni ’80 Piazza Mentana aveva belle aiuole fiorite, poi la progressiva incuria, oggi le essenze arboree sono ridotte al minimo, la sistemazione a verde manifesta solo la volontà di costare poco in manutenzione, un terzo dei lampioni sono tronchi e utilizzati come cestini, altri tronchi a vista sono quelli di due grandi palme abbattute, la fontana è un calco in cemento dell’originale in pietra e l’altra fontana è stata riempita di terra. Nel 2011 un’azienda di videolottery locale ha posto a sue spese un recinto intorno al monumento, tentando d’integrarsi al disegno dei ferri originari senza riuscirci. Tale recinto ha l’unico scopo di tenere lontane persone moleste.

Spicca solo una cosa oltre l’abbandono, un palo con le telecamere di sorveglianza, che ha la stessa motivazione.

E’ quello che diciamo da tempo, decoro e degrado sono metafore militari e si applicano al disegno urbano in modo violento e discriminatorio, di tale approccio pagano le conseguenze tutti, non solo chi è sgradito.

Siamo d’accordo che la piazza non possa restare in queste condizioni, ma occorre fare un’analisi, sia dello stato di fatto originario che del progetto in discussione, per mettere in gioco metafore migliori.

– Un’analisi spassionata di Piazza Mentana

Una breve ricerca è bastata a sapere molto del Monumento ai Caduti di Piazza Mentana: la ricerca dei fondi è il primo atto dell’associazione dei Combattenti e Reduci della Prima guerra mondiale, nata nel 1922, l’anno di posa è il 1925, l’architetto è l’ascolano Vincenzo Pilotti.

Pilotti è stato un nome di grido a livello nazionale, architetto fedele allo stile eclettico, progetta e realizza il monumento nel suo periodo migliore, tra l’aula magna della Normale di Pisa del 1915 e la tomba del suo amico Giacomo Puccini del 1925, i suoi lavori più apprezzati.

Il cosiddetto “eclettismo” di cui è strenuo fautore, ha caratterizzato tutto il XIX secolo, fagocitando di tutto, dall’imitazione del medioevo ad ogni genere d’influenze esotiche. Dopo il 1903, anno che ha consacrato il liberty, l’eclettismo ha avuto a disposizione un nuovo linguaggio da mescolare agli altri. Non a caso il monumento è un gran mischione: ha influenze art decò ma sulla sommità ha un capitello ionico a quattro facce che sorregge la punta di un obelisco, il tutto ha un bel disegno e soluzioni originali, è classicista e infuso di gravitas come dovrebbe essere il monumento ad una tragedia collettiva tanto dolorosa come una guerra mondiale. Non è da disprezzare.

– Il resto della piazza è più difficile da valutare.

Al Pilotti è stato commissionato il solo monumento, il disegno della piazza è probabilmente un lavoro dello studio tecnico del Comune.

Il disegno delle aiuole è piuttosto goffo, un giardino all’italiana senza grandi pregi e nessun elemento espressamente del suo tempo. Non il ferro battuto, che nel monumento ha un disegno complesso e ornato mentre nelle fontane è una semplice ripetizione di elementi curvi; non i lampioni che sono imitazioni di stile vittoriano, disponibili oggi come allora nei cataloghi delle fonderie; non nel disegno delle aiuole, determinate più da logiche legate al contesto che al gusto del tempo.

Per capire quest’ultimo aspetto bisogna guardare la zona a volo d’uccello anche oltre le immediate adiacenze: Il monumento è posto in modo da essere visibile da viale della Vittoria, in linea con le sue due fontane, essendo a doppia simmetria funziona come un perno e replica la stessa composizione in scala minore verso mare, attraverso altre due fontane, per non interrompere tale direttrice un lotto sul lungomare è stato lasciato appositamente vacante. Dal lato opposto invece è impossibile proseguire con la promenade, verso monte la direttrice è interrotta infelicemente dal muro della ferrovia ed è per questo che le aiuole all’angolo sono tagliate da due passaggi diagonali, accorciando verso via XX Settembre, che è perpendicolare. Da questo lato è posto non a caso il braciere del monumento, è il lato più raccolto, dato che in assenza di assi viari frontali è mancata la possibilità di intessere relazioni con altre parti della città.

Pur sembrando omogenea, la piazza è fatta di tre aree, di fronte al braciere vi è lo spazio istituzionale e celebrativo, l’area del monumento è al centro, sul lato opposto la vera piazza con le sue fontane, uno spazio dove non a caso le aiuole arretrano permettendo l’aggregazione.

Se non fosse per quest’ultima concessione alla vita pubblica, la piazza sarebbe d’impianto molto più ottocentesco che liberty, mentre invece tale doppia natura, seriosa verso monte e allegra verso mare, è forse la sua qualità più interessante, sebbene rimanga vernacolare e figlia del compromesso. A questo proposito si badi alla relazione tra la fontana a forma di conchiglia e il monumento, piuttosto labile per tono, disegno e proporzioni.

– Il progetto

Ora c’è un progetto di cui tutti parlano scandalizzati, chi per il costo, chi perché rovinerebbe la natura storica della piazza e la sua funzione di memoriale.

Il Comune è fedele da un secolo all’idea di assoldare architetti ascolani per i lavori grossi per poi affidare i lavoretti ai propri tecnici, in questo caso vorrebbe risolvere un problema reale: il brecciolino è un repellente per le rotelle delle carrozzine e per trascinare i trolley, spiacevole per tacchi e ciabatte, le strade intorno hanno marciapiedi striminziti o non li hanno, la piazza è un’unica grande barriera architettonica in un Comune che si è impegnato formalmente ad abbatterle.

Tuttavia il progetto è timido (o forse pavido), si limita a costruire un percorso pavimentato lungo l’asse maggiore della piazza, una specie di strada veloce dalla stazione alla spiaggia, annettendo anche il vuoto urbano che la connette al lungomare.

Il disegno complessivo e l’uso pubblico della piazza rimangono intatti nelle loro carenze: le aiuole resteranno spoglie, il brecciolino un deterrente per chi voglia raggiungere una panchina. E’ come se da un lato il progetto cercasse di prevenire le obiezioni di comitati e opposizioni con l’argomento dei disabili, un confronto tra l’istanza civile dell’accessibilità e il tabù del non toccare le vestigia storiche a prescindere dal loro valore o funzionalità, solo in ragione della loro età neanche troppo vetusta.

Eppure il progetto altera impercettibilmente ma in sostanza gli equilibri originari: non viene riconosciuto il rapporto tra la piazza e viale della Vittoria, vero asse monumentale, viene rafforzato invece l’asse trasversale che il progettista originale riteneva giustamente irrisolto, in quanto oggi come allora si dirige contro un muro (il fianco della ferrovia).

Quella che era una piazza si trasforma in un viale, non a caso si vuole pavimentare il tratto di via Nazario Sauro che costeggia la piazza, è il viale che prosegue fino ad inglobare lo spiazzetto delle giostre. Per inciso, la forma romboidale e la posizione delle panchine poste in mezzo a detto spazio sembra avere l’unica motivazione di occupare posto per non lasciarlo ai motorini, non altro.

Per il resto non è dato sapere nulla di essenze arboree, arte dei giardini, fruibilità degli spazi, illuminazione (né stradale né monumentale), mentre porzioni consistenti di zone lasciate a brecciolino sembrano destinate appositamente a consolare i nostalgici.

Eppure non è difficile immaginare piazza Mentana come un luogo piacevole, con più verde, meno sassetti, più ombra, un luogo dove passeggiare e incontrarsi: bisognerebbe ammettere che i problemi della piazza non sono soltanto dovuti ad incuria, ma che alcuni degli intenti del progetto originale sono rimasti irrisolti. Comprendendo dunque che un restauro conservativo non li affronta per principio, il titubante limitarsi all’eliminazione delle barriere architettoniche non li affronta per mancanza di coraggio.

– Alcune idee per infondere coraggio all’amministrazione comunale

– Aumentare il verde, la dimensione delle aiuole, con un disegno che realizzi per la prima volta in un secolo il vero scopo originario, quello di realizzare un giardino monumentale, veramente fruibile, fiorito e dotato di ombra, facendo uso dell’arte dei giardini (che nel frattempo si è evoluta), per il resto pavimentato per un massimo del 25%, come da legge regionale.

-Progettare contestualmente un’illuminazione che senza causare inquinamento luminoso non sia la riproposizione pedissequa del lampioncino vittoriano, copia della copia il cui originale non c’è mai stato, almeno a Porto San Giorgio.

-Allargare lo sguardo. Pur con tutte le incertezze i tecnici del Comune di un secolo fa avevano inteso che Piazza Mentana non fosse da concepire come un elemento a sé stante, ma che andava messa in relazione con il contesto generale di questa zona della città.

Se non ci sono i soldi per farlo, bisogna almeno riconoscere la morfologia dei percorsi storici e delle relazioni vicendevoli a livello urbanistico, in particolare occorre:

-Riconoscere l’importanza di viale della Vittoria, un asse urbano dimenticato fin dalla ripavimentazione di via Oberdan, che con la piazza ha una relazione fortissima.

-Decidere cosa si vuole fare da grandi, in particolare cosa fare dell’altro asse, quello che conduce in spiaggia. Se è vero che l’intento è connettere il futuro lungomare con alcune trasversali importanti, lo spiazzo delle giostre dovrà essere implicato, rompere l’unità formale della piazza per annettere un vuoto urbano potrebbe essere accettabile se si chiarisce cosa avverrà in seguito e come tutto verrà coniugato in un complesso.

Nell’attesa, che giri pure la solita giostra.

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