Giovani consumatori di risse

La tendenza a trasformare la città in un luna park esclude automaticamente tutti coloro che non possono permettersi di consumare. Dapprima gli indesiderati si escludono rendendo tutto a pagamento, poi se si agitano si ricorre alla polizia. E’ inevitabile che tale programma finisca per coinvolgere gli adolescenti, che siano autoctoni o meno. Perché costoro sono l’ultimo pensiero di tutti, non hanno i genitori al seguito che possono pagare per loro, né la capacità di spesa per essere clienti interessanti, l’emergenza gli ha chiesto il tributo più gravoso: rinunciare alla scuola in presenza, al tempo libero, alla socialità. Quando sono usciti dagli arresti domiciliari imposti dalla pandemia, mentre gli operatori sociali denunciavano inascoltati l’aumento pauroso di depressione, autolesionismo e suicidi tra gli adolescenti, in tutt’Italia sono iniziate le risse, botte da orbi ovunque per i motivi apparentemente più futili.


I veri motivi sono invece ben gravi: una delle fasce più fragili della società non può votare, non ha soldi per pagare, è stata resa incapace di autorganizzarsi dal combinato disposto della fuga della politica dai territori e dalla fuga della popolazione dalla politica, è stata messa in punizione per mesi e costretta di fronte ad uno schermo, angosciata da un futuro che tutti annunciano come fosco (e se partecipano ad un “friday for future” si prendono immediatamente di viziati, da gente parecchio più viziata di loro).
L’unico sfogo rimasto loro è farsi del male, fare del male, testare sostanze illegali senza un minimo d’informazione per la riduzione del danno, stordirsi d’alcol che nessuno si rifiuta di vendergli nonostante sia illegale. Gli è stata lasciata soltanto quello che ci si ostina a chiamare devianza, ma che ha l’aspetto di una strada maestra.
Porto San Giorgio si è rivelata un terreno di scontro ideale per i ragazzi dei dintorni, che come altrove iniziano le faide sui social networks e i regolamenti di conti li svolgono dal vivo. La questura, sollecitata, ha risposto piazzando camionette nei luoghi dello struscio. Ma non le può tenere lì tutto il tempo, infatti il peggiore di questi episodi di violenza under 25 è avvenuto alle tre di notte, alla polizia non è rimasto che visionare le telecamere di sorveglianza e infine comminare 5 Daspo speciali, il cosiddetto Daspo “Willy”, dispositivo che aggrava le misure del Daspo semplice, in (dubbio) onore di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo picchiato a morte da due cretini a Colleferro.


Già il Daspo è una misura odiosa che si deve all’ex ministro di polizia Minniti, l’uomo che la città di Pesaro ha avuto il grande onore di non votare interrompendone la fortuna politica (grazie!). Preso di sana pianta dagli stadi di calcio e trasferito nelle piazze, il Daspo è odioso perché è quel genere di limitazioni della libertà personale che si da senza processo e quindi senza appello: il sindaco indica, il gip applica l’interdizione. Una misura preventiva, quindi senza processo, che limiti la libertà di movimento ha automaticamente acceso un dibattito tra esperti sulla sua dubbia costituzionalità, ma non serve un giurista per accorgersi che si tratta dell’ennesima misura nel nostro ordinamento che richiede l’esercizio di un potere discrezionale.


Il Daspo non si occupa di punire e rieducare un illecito ma di prevenirlo, la sua funzione è il mantenimento del decoro, sembra fatto apposta per liberarsi dei problemi con un costo minimo per la macchina statale: la persona che li causa è allontanata verso un luogo dove il suo comportamento getti meno scandalo, questo è quanto, problema risolto. Evidentemente un violento va bene se si aggira in una periferia povera, non va bene dove i cocktails stanno a 15 euro.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto e testo

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